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La spiritualità

Ritorniamo sulla spiritualità. In una società occidentale materialista, che misura il progresso umano con il metro della produzione industriale o terziaria (PIL), il bisogno di spiritualità è in aumento. L’uomo infatti sente acutamente di non essere soltanto materia.

Si affaccia un pericolo: quello di misurare il progresso della spiritualità con il metro del consumismo. Tutto e subito, tutto facile e subito pagato. Le molte scuole di spiritualità che si affacciano sul mercato, sono tutte care e fruttuose. E’ sufficiente ricordare Sai Baba.

La spiritualità si caratterizza per lo scopo che persegue: l’equilibrio psichico, l’illusione dell’uomo completo, l’attuazione del superuomo. Queste sono tutte correnti di spiritualità antropocentrica. Esse si offrono per rendere l’uomo più ricco di sé. Insomma spiritualità per l’uomo che si relaziona con se stesso, e che non richiede “metanoia”, ma solo capacità riflessive, lasciando le persone con le scelte etiche che più garbano loro.

La spiritualità che si riferisce a un Dio reale, oltre la persona, si costruisce in una relazione non con se stessi, ma con l’Altro. Essa richiede continua metanoia, per rendere la relazione con l’Altro sempre più libera, intensa, pura, altruistica.

E’ vero che la spiritualità induistica si riferisce al dio, ma a un dio di cui l’uomo è parte, e quindi deve curare questa parte di dio, intima all’uomo stesso. Ma il vero Dio non è parcellizzato.

Anche la spiritualità cristiana si riferisce all’intimità di Dio in noi (chi non ricorda Elisabetta della Trinità?), ma a Dio, che non è noi, sebbene noi viviamo di lui, ci immedesimiamo in lui: non siamo noi parte di Dio, ma Dio abita dolcemente anche in noi. Non solo noi, ma Lui e noi.

GCM 17.11.14