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Annientamento e infinito

Qualche anno fa, nelle riflessioni condotte con la SPERI, si giunse a indicare la spiritualità francescana e la sua preghiera quali “estatiche”, cioè spinte fuori di sé per realizzarsi solamente in Dio.

Sono felice di imbattermi in teologi, che vedono l’avverarsi di Gesù proprio nel suo annientarsi per essere con noi, quasi che egli si fosse “liberato” della divinità, per realizzare la divinità stessa (volontà del Padre) nel concedersi totalmente e sostanzialmente all’essere uomo.

E’ il perdersi nella povertà vera, essenziale di Francesco. Il “todo nada” della mistica spagnola. Il “para ganarse perderse” di Teresa d’Avila.

L’annientamento nel donarsi (a Dio; al prossimo, come Teresa di Calcutta) per finalmente essere noi stessi, per finalmente ritrovarsi davvero.

La dinamica dell’annientarsi guida Gesù non solamente nell’incarnazione, che culmina con l’annientarsi della croce, ma si prolunga nel suo annientarsi impensabile del consacrare se stesso, immettendosi nel pane e nel vino.

Di più, l’Eucarestia è la dinamica del continuo annientarsi di Gesù (e, in lui con lui attraverso lui, della Trinità) nel pane, e infine nell’annientarsi del pane in noi.  Il pane, naturalmente, si annienta in noi, perché il chicco di grano caduto in terra deve morire per produrre molto frutto.

L’Incarnazione inizia una filiera di annientamenti, che conducono alla fruttificazione in noi della vita eterna. Dalla vita eterna alla vita eterna di infinite persone tramite l’annientamento. La morte fisica è l’introduzione nell’eterno, grazie all’annientamento dell’uomo per rientrare in Dio.

Dio si annienta nell’uomo, l’uomo si annienta in Dio: affinché tutto sia uno.                                     

GCM 14.08.12