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Semplicità saggia

Sappiamo che la parola "semplicità" è adoperata in molti contesti diversi e con molti significati diversi. E non poche persone confondono questi diversi contenuti della semplicità.

Ricordiamo la semplicità degli sciocchi, o semplicioneria, che può riuscire anche divertente fino a produrre quei doppi sensi o quelle pronunce errate, che gli intellettuali definiscono come perle.

Incontriamo anche la semplicità degli ingenui. L'ingenuo è il semplice o il non smaliziato (sarebbe più coerente dire "non ammaliziato"). È una semplicità che fa tenerezza, sebbene spesso ponga il semplice in condizione di svantaggio.

Inoltre esiste la semplicità del saggio, il quale è giunto a quella maturità spirituale, che lascia cadere orpelli, inutilità e particolari non essenziali per andare al cuore delle cose. È la semplicità della sintesi e dell'essenza.

Pochi arrivano a questa semplicità, e meno ancora la capiscono, e pochissimi l'apprezzano. Da qui nasce l'idea che l'anziano sia un rimbambito, mentre egli sta acquistando l'occhio puro (i puri di cuore, come preferisce dire Gesù) dei bambini, che penetrano la realtà sentendola e intuendola.

Questa semplicità dei saggi può estendersi su ogni realtà. Anche sulla realtà di una predica, di una conferenza o di una sacra rappresentazione.
La sacra rappresentazione di stile francescano, si enuclea attorno al semplice Vangelo (semplice, non sciocco!). Intuisce la grandiosità inesprimibile del Vangelo e, per non turbare la luce, ripete la parole del Vangelo rendendole figura e canto.

La semplicità saggia si immerge nel divino. Essa è criticata dai pretenziosi, che si illudono che "le molte parole" (come dice Gesù) producano la pietà e la salvezza.
Ma i pretenziosi non diventeranno mai saggi semplici.

GCM 14.12.02