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L’unità dopo 150 anni

Stiamo assistendo alle celebrazioni per il 150° anniversario dell’unità d’Italia. E’ corretto parlare dell’ unità d’Italia e non degli Italiani: unità geografica di molti territori compresi tra i mari e le Alpi, meno unità di sentire di tutti gli Italiani, quando tra polentoni e terroni non tutto è omogeneizzato, tra idee secessionistiche e unitarie corre ancora una non trascurabile divergenza.  Anche il regionalismo che spinge verso il federalismo non sembra una perfetta collaborazione dell’unità.

Se invece di una celebrazione accademica e perfino folkloristica, si curasse di più lo studio delle differenti culture che vivono dentro la penisola italiana, si potrebbero scovare ed esaltare valori e favorirne il reciproco inserimento. L’unità tra uomini non può essere intesa come omogeneizzazione, né civica né religiosa, ma come esaltazione di ogni valore.

Il matrimonio non è cancellazione di uno dei due sessi, ma reciproco rispetto e integrazione. Il matrimonio omosessuale tende all’omogeneizzazione, al rispecchiardsi, non all’integrarsi.

Così una cultura non può essere imposta come unica, frutto di un Minculpop, ma è varietà di valori e di colori.

Questa deve diventare un’autentica unità. La stessa bandiera non ha per tutti lo stesso significato.

Sarebbe serio e onesto guardare in faccia la storia e l’antropologia.

La storia: non sono stati gli Italiani a volere l’unità, ma la mano massonica che voleva dominio e ricchezze, approfittando di frange esagitate di persone.

L’antropologia: conoscere davvero gli Italiani, e scoprire come e se si vivono Italiani.

GCM 18.08.11, pubblicato 26.11.11