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Critica e invidia

Il mestiere del critico non è facile. Egli deve scovare nell’opera, che sta illustrando, i reconditi sensi e le superficiali strutture. Deve penetrare nell’anima dell’autore e confrontare poi la sua espressione con i canoni dell’estetica da lui privilegiata. Però la stessa estetica, prima di applicare il giudizio sulla base dei propri canoni, deve guardare l’interna connessione delle diverse parti dell’opera.

Però lo stesso canone estetico di riferimento, è fragile, e deve difendersi continuamente da canoni estetici paralleli. Insomma un’opera immane, se condotta con coscienza e con conoscenza.

Poi si dà, accanto alla critica dei professionisti, la critica di noi, uomini della strada. Il nostro quadro di riferimento è il nostro mero sentire, talvolta corredato perfino di qualche idea.

E infine esiste la critica della cantina, i giudizi sulle azioni degli altri, soprattutto sulle azioni di chi ci è antipatico.

Or dunque, dentro tutto questo cumulo incalcolabile di critiche, è facile che si infiltri l’invidia.

Criticare per invidia è un’azione molto diffusa. Chi non è riuscito in un campo, invidia chi c’è riuscito, e lo critica in base ai propri risentimenti, senza entrare nell’animo di chi agisce.

Spesso un pittore mancato, o un musicista mal riuscito, si dedica alla professione di critico d’arte. Uno scienziato scalzacane, critica la scienza che progredisce.

Un genitore di figli scavezzacolli, ha da ridire su altri genitori e su altri figli.

Un frate poco dotato, incapace di idee nuove, frustrato per gli insuccessi, critica e mina le opere di chi sta riuscendo.

GCM 14.02.11, pubblicato 18.04.11