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Ragione

Noi italiani adoperiamo una parola in due significati, che probabilmente hanno una insospettata affinità: “non aver ragione” e “perdere la ragione”. L’aver torto e l’essere dissennati, sono espressi con l’uso dello stesso vocabolo.

Però nella pratica spesso l’una frase è causa dell’altra. Frequentemente quando non abbiamo ragione perdiamo la ragione: ed ecco l’alterarsi della voce, il lancio di epiteti, la lite, la rissa.

Esempi macroscopici del perdere la ragione a causa del non aver ragione, ci vengono dai regimi totalitari, dai tiranni, dagli Hitler, dagli Stalin, dai Napoleoni e, perfino, dai Gheddafi di turno. Chi procura la morte di un fratello, a cominciare da Caino, è una persona che non ha ragione. E di esseri sragionati e sragionevoli la storia è infarcita.

Nella nostra modesta quotidianità, anche noi siamo scivolati dal non aver ragione al perdere la ragione.

Molte volte il non aver ragione è solo parziale. Eppure anche il non aver ragione del tutto, ci fa perdere almeno in parte la ragione. Infatti le nostre certezze si incrinano, e conseguentemente si affaccia un filo di angoscia, perché la sicurezza si affievolisce. La certezza incrinata richiede tempo per poter ricomporsi integrando nuovi elementi, prima non visti o non considerati.

Perciò il tramonto del non aver del tutto ragione, dovrebbe consigliarci non a perdere la ragione, ma a entrare nel silenzio e nella calma di una revisione dei nostri pensieri e delle nostre passate certezze, attraverso un nuovo ragionamento per ricuperare la ragione, una nuova ragione.

Altrimenti perdiamo la struttura di uomini e di cristiani, capaci di meditare.

GCM 28.03.11, pubblicato 17.05.11