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Lamento e critica

Davanti ai mali che ci attorniano ho notato varii atteggiamenti. Qui voglio rimembrarne due. Quando qualcuno nota i mali (e chi non li vede?) c’è chi si lamenta e chi li vede con occhio critico.

Lamentarsi è facile: lo fanno anche le galline, se non trovano il becchime.

L’occhio critico è più difficile da esercitare. Purtroppo, soprattutto nel Veneto, lamentarsi e criticare sono spacciati per sinonimi. Invece il lamento puro e semplice, connota passività. La critica (vera!) indica attività.

La critica, infatti, ricerca le cause dei mali, ne misura l’utilità, intravede le conseguenze, predisponendo, in questo modo, le premesse per un’azione riparatrice.

La critica si estende poi alla stessa azione successiva, per scoprire quali sono i limiti personali nell’agire e contenere l’azione nei limiti del possibile, ammettendo tra questi limiti anche la possibilità dell’insuccesso, però non ipotizzando soltanto l’insuccesso. Altrimenti cadtrebbe nell’inerzia del piagnone, paralizzato fin dall’inizio dalla paura, spesso inconfessata o nascosta, dell’insuccesso.

Gesù affrontava il male, tenendo presenti le proprie capacità e i propri limiti d’azione. Questi limiti sono espressi in molte maniere: il rifugiarsi in Galilea, l’indicare ai suoi di non insistere quando sono rifiutati. Gesù era cosciente anche del proprio insuccesso finale. Eppure non trascurò nessuna occasione per insegnare e per beneficare.

Il male non paralizzò la sua azione; il male, lo sbandamento sociale e religioso della sua gente e la protervia dei capi, non lo fermarono. Da essi ci salvò.

GCM 12.01.11, pubblicato 01.03.11