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Preghiera celeste

Gesù ha portato in terra, la preghiera che si attua in cielo. Se preghiera è essenzialmente unione a Dio, realizzata nell’apice di noi stessi, e se essa si può avverare soltanto spinti e sostenuti dallo Spirito Santo, dove si trova una profonda unione con il Padre nell’unità dello Spirito Santo, se non nell’intimità trinitaria di Dio?

Da Dio scende nell’uomo la capacità della vera preghiera. L’uomo,  creato da Dio, è foggiato con l’impronta trinitaria e perciò sente la necessità di pregare. Ciò si constata presso tutti i popoli. In essi la preghiera si adatta alle circostanze storiche e ambientali di ciascuna etnia. E’ preghiera autentica quella degli ebrei, dei musulmani, degli ottentotti e degli amerindi. Eppure resta una preghiera incompleta, se disgiunta da Gesù, l’unica persona che è capace, in se stesso, di unire l’uomo a Dio.

Gesù colloca la preghiera nella sua naturale struttura basilare di unione con Dio. La colloca non tanto teoricamente, ma  esistenzialmente. Gesù è unito al Padre, come Verbo; perciò, portando la preghiera eterna nel mondo, unisce davvero l’uomo a Dio. Lui, che come Verbo è Figlio, come uomo è sempre figlio, e, legandoci a sé, trasmette a noi la sua qualità di Figlio. Perciò, quando ci stimola a pregare, ci fa dire e sentire quel “Padre nostro dei cieli”. Il Padre dei cieli, perché è il Padre di Gesù che, con il Padre e con lo Spirito, è nei cieli.

“Nei cieli” non è soltanto Dio, ma la nostra stessa preghiera è nei cieli, con il Padre. Padre nostro, quello dei cieli: ci fa pronunciare Gesù. Se nostro Padre è quello nei cieli, la nostra figliolanza è nei cieli, e la conseguente nostra preghiera è nei cieli.

GCM 15.03.10  - pubblic. 16.05.2010