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Spazio per Dio

Trovo scritto:

“E’ inutile servire Dio: quale vantaggio abbiamo ricavato dall’aver osservato i suoi comandamenti oppure dall’aver camminato penitenti agli occhi del Signore grande? E’ più doveroso proclamare beati i potenti, che, pur commettendo il male, si moltiplicano e, pur provocando Dio, restano impuniti”.

Viviamo oggi in quest’atmosfera. Se il male comune è mezzo gaudio, mi consola (a metà) che le frasi surricordate  furono profferite ben ventisei secoli fa. Perché nulla cambia nella storia umana? Sembra addirittura che una correlazione sia instaurata tra la tecnica e la fede: più aumenta la tecnica, più diminuisce la fede. Come, più aumenta l’informazione, più diminuisce la religione.

Dimenticare Dio è un’attività inserita nel DNA della persona umana? Dimenticare Dio, è un bisogno incoercibile come il mangiare e il dormire? Esso si realizza in ogni generazione umana.

Oppure...

Il ricordare Dio è iscritto nelle nostre cellule, come è iscritto lo sviluppo della persona e l’attesa della morte? Il rivolgerci a lui è necessario come il temere e il correggere il senso di precarietà?

E’ contro natura il dimenticare, o il ricordare Dio?

Il dimenticarlo favorisce il senso di saturazione presente e, perciò, effimera. Il ricordarlo alimenta la speranza, che utilizza il vuoto della persona umana per renderlo spinta verso una pienezza totale, che soltanto chi è più grande dell’uomo può e “deve” donare.

“Deve”: Dio ha creato l’uomo precario e famelico, non per godere della sua piccolezza, ma per creare in lui uno spazio, dove per decisione sua, deve infilarsi.

GCM 08.10.09