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Dall’esperienza

Con l’età si comprendono anche significati diversi dei vocaboli.

Parlando in italiano, la ringhiera è quella spalletta che limita e affianca una rampa di scale.

Da bambini ci serviva da scivolo per scendere le scale in fretta.

Da adulti la si considerava come aiuto a centrare bene le scale.

Da vecchi serve di appoggio, per aiutare con il braccio lo sforzo dell’arto inferiore, ormai indebolito e frequentemente incerto, per salire le scale, e come rassicurazione per discenderle.

E così ho capito perché nella mia parlata di origine, l’istriano, la denominavamo “stante”. Participio presente sostantivato: ciò che fa stare, ciò che regge se incerti. Svolge la stessa funzione del bastone, la terza gamba degli anziani, che serve di appoggio per sostenerci.

Il bello della vecchiaia (e non è l’unico) è quello di comprendere le parole dall’intimo della loro esperienza. La parola espressione dell’esperienza.

E questo mi conduce a Gesù. Egli dalla propria esperienza ricavava i suoi insegnamenti. Più forte era la sua esperienza, più chiara era in lui la percezione di sé, e di ogni realtà.

Dall’esperienza del suo rapporto con il Padre, indicava ai suoi non solo l’atteggiamento, ma anche la realtà di chi era Dio, e chi era lui nei riguardi di Dio.

Dalla sua esperienza si colse nella realtà di se stesso: allora scoprì quell’abisso che è, l’essere figlio di Dio.

Quell’abisso lo comunicò anche a noi, assicurandoci di essere pure noi figli di Dio. L’abisso, per quanto riflettiamo e preghiamo, resterà sempre abisso, eppure consolante ed esaltante.

GCM 02.08.10, pubblicato 25.10.10