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Parlare di Dio

Può il credente parlare di Dio, o deve tacere come l’ateo?

Quando mi interessavo dei fenomeni religiosi, mi incontrai con la frase attribuita al Buddha, quando gli venne domandato il suo parere sugli dei: “Dicono che ci sono”, frase che indicava la loro non significatività per la ricerca sulla pace interiore.

Può essere questo l’atteggiamento del credente? Oppure per lui, che pone la sua salvezza nella sola opera di Dio, non è solo un esercizio scolastico di poca importanza, ma l’unica possibilità di trovare e di sperimentare il senso della propria vita?

Il credente deve parlare di Dio, e quando ne parla, ne parla sempre troppo scarsamente. Parlare di Dio, incarnato in Gesù, presente nel Risorto tra di noi, è orientare quotidianamente la propria vita.

Viviamo in Dio e di Dio: di lui nella grazia, dei suoi doni nella natura.

Popper sentenzia, parlando principalmente della metafisica: ciò che non si conosce e non si può dire, bisogna tacere.

Questo di Dio non si può dire. Si deve parlare di Lui, sebbene il nostro parlare, resterà sempre incompleto. Eppure nella nostra meditazione e nella nostra contemplazione supportata dallo Spirito Santo, noi ogni giorno scopriamo qualche cosa di più su di Lui. Soltanto i pavidi e gli ignavi non si lanciano a caduta libera nell’abisso di Dio, dell’Infinito. Solo chi non è puro di cuore, non può vedere Dio.

Noi non siamo puri di cuore, ma ogni giorno chiediamo a Dio che ci purifichi, e poi lo guardiamo, talvolta perfino lo vediamo. Parlare di Lui è l’onere e la gioia quotidiana.

GCM 03.09.09