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Dio visibile in noi

Uno scrittore cristiano dell’antichità, Ireneo, comunica che Dio è l’invisibilità di Gesù, e Gesù è la visibilità di Dio.

Evidentemente dentro questa frase serpeggia la parola del Vangelo di Giovanni, dove si legge l’affermazione che Dio nessuno l’ha mai visto, e che Gesù ce l’ha narrato. Quel Gesù che spiega a Filippo: “Chi vede me, vede il Padre”.

Una visibilità di Dio, questa, che si esprime e nelle opere, nelle parole di Gesù, e nel suo sentire, commuoversi, piangere e adirarsi.

Questo mostrarsi di Dio, il suo apparire nella storia, non si riduce soltanto ai trentasette anni della storia di Gesù, ma si prolunga ancor oggi nel suo “corpo” visibile, del quale lui resta il capo. La visibilità di Dio, oggi, è affidata ai credenti.

Alla chiesa, e, quindi, a ciascuno di noi. Non solo alla Gerarchia che, pur svolgendo un compito specifico, non esaurisce in sé la Chiesa tutta, tutto il corpo di Cristo, composto di molte membra, articolate tra di loro.

Ne consegue che noi, oggi, finché viviamo su questa terra nell’attesa della nostra piena assunzione in Dio, noi oggi siamo la visibilità di Dio.

E’ un dono ed è un compito. Non esprimiamo Dio soltanto con le parole, con la lode e con la proclamazione, ma anche, e soprattutto, con l’esserci in questa terra, nella qualità di credenti in Gesù.

Noi, poveri vermi, visibilità di Dio! E quanto più poveri, tanto più misteriosa visibilità di Dio. Gesù ce lo comunica: “Beati voi poveri, perché vostro è il regno dei cieli”. Notiamo il tempo presente del verbo essere: “è”.

GCM 15.01.09