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Proiezione o scoperta? 

Una persona mi ha chiesto se i miei “abbaini” (quelli che io pubblico) sulla tenerezza di Dio è di tipo proiettivo. Non so che senso avesse per quella persona il termine proiettivo. Io lo sento e considero secondo le categorie della mia professione.

Per me il fenomeno proiettivo avviene se io proietto sull’altra persona una “immagine” mia, la quale vede nell’altro non quello che lui è, ma quello che io immagino lui sia.

È il classico caso di chi si alza, il mattino, con il piede sbagliato, ne resta irritato e scorge negli altri solo musi lunghi e possibili o nemici o fastidi: è il dire che ha la luna per traverso.

Quando la proiezione è rivolta verso Dio, creiamo di lui un’immagine che spesso non s’addice a Dio. Già i latini dicevano che “timor fecit deos” e le innumerevoli idolatrie creano gli dei dell’Olimpo, le mitologie di tutti i popoli.

Proprio per aiutare a vincere le nostre povere fantasie su Dio, Dio stesso rompe gli indugi e si mostra per quello che è “rivelandosi” in Gesù incarnato. Gesù non è una nostra proiezione, ma la realtà di Dio, quello che noi troviamo semplicemente nel Vangelo, quel Vangelo che neppure i “pii cristiani” conoscono almeno un po’.

Invece parlare della tenerezza di Dio, è l’accorgerci di questa dotazione “oggettiva” di Dio.

Dio ci ha creati uomini incompleti e desiderosi. Il desiderio ci fa scoprire (non proiettare) in Dio Infinito, quel “lato” del quale avevamo bisogno.

Non è proiezione, ma il realizzarsi ancora una volta delle parole di Agostino: “Ci hai creati rivolti a te, Signore, e il nostro cuore non si placa finché non arriva a te”.

25.09.19