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Padre e figli   

Quando noi possiamo rivolgerci al nostro Signore e Creatore, chiamandolo “Padre”, ciò è vero, perché Gesù ci ha assunti in sé, comunicandoci se stesso e partecipando a noi se stesso. Gesù vive in noi il suo essere di Figlio, e ce ne impregna.

Dire a Dio “Padre”, non è una finzione mentale, ma una dolce realtà, che ci entusiasma e ci salva. Su questo “Padre” è imperniata la nostra esistenza di cristiani.

Purtroppo la nostra cosiddetta educazione cattolica, non ha indicato come unico principio il “Padre”. Il comportarci da “bravi bambini” – come ci dicevano – non era assimilato al comportarci da “felici figli del Padre, che è nei cieli”.

E pensare che la “paternità” era presente nelle religioni del Mediterraneo. Gli dei e gli uomini dipendevano tutti da una paternità, da quel Giove-Padre dei latini (Jupiter = Giove padre) o dal padre Zeus. Anche il paganesimo è rimasto fedele a quella indecifrabile “religione primitiva”, ricordata anche dai pontefici cattolici.

La paternità iniziale, come fonte di esseri, nel paganesimo, di altri esseri, essi pure dei. Questa era una deviazione dovuta a misere interpretazioni mitiche. Poi ecco Gesù, che ci restituisce la concreta realtà di essere noi figli di Dio, perché partecipi di Gesù, Verbo del Padre.

Il viverci figli del Padre, non è una novità sotto certi aspetti, ma una specie di “correzione” del distorto e mitico concetto di figliolanza divina.

Forse per non cadere nel pagano concetto di dei figli di Giove, si è voluto designare l’uomo come misero “figlio adottivo”. In realtà, siamo veri figli di Dio, sebbene non ugualmente della stessa maniera di Gesù.

20.12.19