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Trinità e conventualità

Una delle caratteristiche della francescanità conventuale, quella nella quale io vivo, è proprio il costruire i luoghi del loro raduno nel cuore delle città. La novità degli ordini mendicanti, i francescani in primis, è quella di evitare il monachesimo, che viveva e operava nelle abbazie, lontane dai centri abitati.

Nel centro della città con due chiare finalità: stringersi nella fraternità, e servire la gente. Essere fraterni per sé e per gli altri. Da qui la necessità di chiese e conventi uniti in un unico edificio. Non conventi (comunità) per chiudersi, ma comunità per essere più forti nell’aprirsi alla città.

Rafforzare la comunità non aveva lo scopo del romitorio, ma dell’apertura. Però romitorio e apertura entrarono anche nelle esigenze dei frati: l’apertura fu scelta dai “conventuali” con l’erigere i conventi nelle città; il romitaggio fu scelto dagli spirituali, che, di solito, si collocavano fuori città. Evidentemente, durante lo svolgersi del la storia, la separazione non fu così netta. E si venne a una omogeneizzazione delle famiglie francescane.

La conventualità tende al servizio della gente, non come singoli frati che si dedichino all’apostolato, ma come comunità che esercita l’apostolato anche attraverso i singoli frati.

La conventualità non è un alberghetto per scapoloni (come mi fu detto da persona in “autorità”), ma raduno di credenti, che vogliono vivere Dio assieme, per manifestare più chiaramente il mistero della Trinità. Quella Trinità felice immensamente dell’amore reciproco tra persone, che allarga tale amore fuori di sé: “come in cielo così in terra”.

GCM 28.02.12