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Dolcezza e racconto

La Chiesa e ogni nostra azione di credenti, sono indirizzate a far memoria viva e affettuosa di Gesù. Memoria sia nell’annunciarla, sia nel concretarla con la presenza concreta di Gesù nell’Eucarestia.

La memoria per non chiudersi, deve diventare racconto. Se non tende a diventare racconto, arrischia di imbozzacchire ed evanescere nella fantasia improduttiva. La memoria, per mantenersi viva e crescente, necessita del racconto. Il racconto, mentre richiama, anche rinnova.

Raccontare Gesù è trovarlo vivo nel nostro parlare, e, perciò, nel nostro cuore. Raccontare, non ripetere frasi catechistiche o formule del “Credo”. Ma di Gesù, la sua avventura, il suo amore, la sua dolce divinità con parole nostre, che ci escono spontaneamente dal cuore e dalla memoria.

E’ vero che fino a che non sentiamo la dolcezza del suo amore, il raccontarlo è scabroso. Il racconto di gesti o di persone che ci hanno aiutato è agevole, perché quei gesti sono scolpiti in noi, alla pari dei gesti e delle persone che ci hanno offeso. Certamente Gesù, in noi, è collocato tra le persone che ci hanno amato e che ci amano.

Il percepire la soavità di Dio, è stimolo a parlarne. E’ incalcolabile il danno dei nostri educatori, confratelli, superiori, che ci hanno presentato Dio e Gesù quali giudici castigamatti (e un po’ matti siamo tutti). Ricuperare la dolcezza di Dio, come Dio stesso ha stimolato a fare attraverso gli enunciati del profeta Amos.

Riascoltare un Dio dolce, per ricuperare la scorrevole bellezza del racconto.

GCM 12.07.12