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Paura della felicità

Sto entusiasmandomi nel leggere il capitolo 15 del Vangelo di Giovanni. Vangelo che dolcemente plana sul gruppo di fede e di amore, nella quinta domenica.Vangelo che alimenta la nostra gioia e la nostra sicurezza di amore.

Però circola tra noi una strana paura: la paura di essere felici. Quando da piccolo mi insegnavano la “buona educazione”, mi indicavano perfino i limiti e le modalità del ridere! Siamo stati infettati di intellettualismo e di razionalità, fino a vergognarci dei nostri sentimenti. E ciò da oltre tre secoli, nonostante la protesta di Pascal.

Il Vangelo va cantato, proclamato, ballato con tripudio. E’ o non è una “bella notizia”? E’ o non è l’amore che salva? E’ o non è Dio che ci penetra?

Io sono vite, voi tralci miei. Io sono in voi, voi in me!

Che cosa di più bello, consolante, tripudiante di questa realtà?... se ci crediamo davvero.

Ho visto Benigni saltare di gioia nel leggere l’ultimo canto del Paradiso. Però l’ultimo del Paradiso è semplicemente un derivato del Vangelo.
   Perché non invitare Benigni nei seminari, per insegnare come si declami e si balli il Vangelo?

Il Vangelo, di solito, lo si legge (non si declama, come dovrebbe essere) con una tale compostezza, perfino quando è cantato!, che raffredda ogni voglia di viverlo.

La compostezza liturgica, tanto ripetuta e declamata nei rituali, è una manica di pompieri, non uno stimolo di arpe angeliche. Il rito spesso estingue il cuore ed esalta l’esteriorità. Noi abbisogniamo di vita. Il Vangelo ce la porge con scialo...

Ma anche davanti al Vangelo, sorge quella strana paura: la paura della felicità.

GCM 06.05.12