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Insegnare o riflettere

Quando si parla, si comunica, lo si fa per insegnare, per costatare, per riflettere. Nel settore specifico, nel quale si parla di Dio, il nostro atteggiamento qual è?

Nel vangelo si nota chiaramente che Gesù “ha insegnato la via di Dio”. La gente, che ode Gesù, è certa che lui parla con autorità, e non come gli scribi. Gli scribi infatti commentavano la legge di Mosè. La differenza è lapalissiana: Gesù insegna, gli scribi commentano. Un po’ come la teologia medioevale, che commentava il pensiero (sententiae) di Pietro il Lombardo.

Dopo l’insegnamento di Gesù il maestro (rabbì), sigillato dall’autenticazione della risurrezione, è lecito ancora insegnare? La predicazione, cattolica ortodossa riformata, può arrogarsi il diritto di insegnare?

Anche i concili trasmettono “una fede”, che viene dall’ascolto della Parola di Dio: è limpido quanto dice la Dei Verbum del Concilio Vaticano due. Le definizioni dei Concili ecumenici sono non “ciò che noi insegniamo”, bensì “ciò che noi crediamo”. Sulla nostra bocca cristiana affiora spesso il “Credo”.

La predicazione cristiana non è semplice insegnamento, ma è riflessione sulla Parola di Dio. È riflessione sulla Verità espressa da Gesù, echeggiata dagli Apostoli, conservata nella Chiesa. Il predicatore non è il “Maestro”, ma il discepolo, come gli apostoli, che annuncia il “Regno di Dio” sempre vicino. È una persona, che semplicemente esprime ciò che la Parola di Dio ha detto a lui. Simile posizione assume chi si dedica alla lectio divina.

Nelle conferenze, anche a soggetto religioso, il conferenziere, in tonaca o in calzoni, esprime le proprie idee e i propri convincimenti, a differenza del predicatore, che esprime i pensieri di Gesù, sebbene, naturalmente, filtrati da lui.

GCM 04.07.12