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Stima e dialogo

Stimare l’altro, dopo averlo conosciuto davvero, è spontaneo. Quando ci guardiamo a distanza, i contorni risultano sfumati, e noi siamo indotti a far indossare all’altro i nostri preconcetti, e, basandoci su questi, giudichiamo. Quando ci avviciniamo i contorni sono più precisi, e l’altro è più lui, sebbene non totalmente conosciuto. La conoscenza si integra quando l’altro ci parla di sé.

Però anche l’altro che ci parla, può non possedere un’idea esatta di ciò che lui è. Sono necessari supplementi di conoscenza, che nascono dalla quotidianità del rapporto. Soltanto nella quotidianità di un rapporto, emergono pregi e difetti, valori e limiti reali.

Questo vale anche nel rapporto tra religioni.

Per stimare i “diversi” da noi, si entra nel loro mondo. Ci si accorge che anche i loro limiti possono condurci a scoprire motivazioni e dinamiche, che non sospettavamo esistessero. Addirittura ci si accorge che, con metodi e percorsi diversi, tutti tendiamo allo stesso fine: la felicità e l’orientamento basilare dell’esistenza.

Da qui si muove la possibilità di chiara stima dell’altro, e la stima dell’altro verso di noi.

Questo è possibile tra le religioni, dal fatto che altre religioni fanno parte di stati etici, nei quali il governo indica il cammino della religione, ivi acculturata?

Intanto è possibile raffrontarci con quegli scampoli di “altre” religioni, che si sono incuneati tra di noi. Senza richiedere precondizioni per instaurare il dialogo.

Anche per il dialogo tra le religioni, i passaggi sono lenti, come per il piccolo principe, e spesso coprono secoli.

GCM 30.05.08