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Aprire gli occhi con Dio

Viviamo in una società, nelle quale si è accesa una feroce gara tra chi denigra di più l’altro, in politica, nelle famiglie, nelle parrocchie, tra colleghi, nella Chiesa.

 Sembra che l’unica consolazione sia ricavata dal dir male del prossimo.
Così non si favorisce la pace e la convivenza, ma si produce una società in tensione. Non si riesce più a godere del bene degli altri, o si gode solamente del bene, che in definitiva, torna utile o piacevole a noi.

Quell’inno di Gesù “Ti ringrazio, Padre” è trascurato e catalogato tra le cose inutili o impossibili.
Abbiamo perduto il gusto della scoperta, quella che avevamo da bambini, davanti a ogni novità. Partiamo dai nostri preconcetti, politici, culturali, religiosi, e con essi misuriamo e giudichiamo gli altri. E i preconcetti sono necessariamente effetto del nostro egoismo.

Si può uscire da questo ginepraio creato da noi stessi? Si può guardare sotto un  lato diverso le persone, che noi giudichiamo irrimediabilmente sbagliate?

Dio è di un’idea diversa dal vedere le persone soltanto sbagliate. Dio è come il  Padre del figliol prodigo. “Questo mio figlio era morto ed è ritornato a vivere”. L’accento è su “questo mio figlio”! Su quel bene che resta integro nell’uomo, anche quando egli decide di sbagliare. Egli resta pur sempre uomo e figlio di Dio.

Dio vede l’errore, ma non si intestardisce a guardare solo l’errore. Scopre valori che noi, superficiali, rifiutiamo di vedere, anzi anche i valori tesorizzati dagli altri, li interpretiamo malignamente.

L’altro è paziente: per noi è uno stupido. L’altro è psichicamente debole: per noi è cattivo. L’altro ha combattuto per tutta la vita per superare un difetto: e noi lo giudichiamo un fallito.

GCM 19.09.07