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Povera autoreferenza 1

     L'uomo può essere tranquillamente autoreferente?
     Autoreferente: riferire e rendere conto solamente a se stesso del proprio esistere, delle proprie azioni, delle proprie responsabilità. Non si confronta con altri valori o con altre istanze. Il "tu" (di qualunque genere esso sia) non è mai un valore pari all'"io". Il tu, umano o divino, singolare o sociale, è sempre un oggetto periferico dell'io.

     Sorge spontanea la domanda: l'uomo si possiede così completamente, da diventare il perno di sé, l'unico punto al quale riferirsi? Di passaggio mi pare giusto ricordare che nessun uomo può pensare e decidere al posto degli altri uomini, perché il suo resta per sempre il cervello di una singola persona, con tutti i limiti che tale ovvia realtà comporta.

     L'uomo non si possiede nel vivere: nasce da altri ed è tramontabile.
     L'uomo non si possiede nel sapere: è soggetto a ignoranza di fronte a ciò che sa e che potrebbe conoscere.
     L'uomo non si possiede affettivamente: è sofferente di solitudine.
     L'uomo non si possiede davanti alla natura: basta un terremoto o il calo di ozono per precipitarlo nella crisi.
     Non si possiede bene nella propria esistenza: questa lo gioca attraverso l'ignoto.

     L'autoreferenza umana è labile e precaria, perché labile e precario e inconsistente e povero è l'uomo
     L'uomo ha bisogno di riferirsi a un centro stabile e sicuro. Centro che egli non può trovare dentro di sé.

     Il cristiano è il fortunato eteroreferente nel Cristo di Dio. Fortunato perché l'eteroreferenza è un'esigenza di natura (ricordiamo la nostra infanzia?) ed è una costruzione quotidiana, che passa anche attraverso la preghiera e la Parola di Dio.

GCM 27.08.01