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Imperativo

Lo stesso modo verbale, l'imperativo, viene usato per il comando e per la preghiera: la superbia e l'umiltà si confondono nell'esprimersi, sembrano la stessa cosa.
     Se osserviamo, comando autoritario e preghiera sottomessa sono intrisi l'uno dell'altra. Chi comanda desidera in cuor suo di essere obbedito. Chi prega ha un nascosto desiderio di "far fare", all'invocato, la volontà dell'invocante.

Comando e preghiera sono soltanto due estremi dello stesso continuum. Sono "astrazioni verbali", che s'illudono di definire i comportamenti apparenti, strappandoli dal contesto essenziale.
     E' possibile liberare la preghiera dalle infiltrazioni del comando, che rendono incomprensibile la preghiera?

Il "Padre nostro" è preghiera. Gesù lo dichiara nel Vangelo: "Quando pregate dite...".
     E' preghiera molto distante da altre preghiere.
     Nella prima parte non domanda nulla, ma costata e accompagna l'azione di Dio, che è sublime, la cui regalità si manifesta e la sua intimità scorre dal cielo sulla terra. Nella seconda parte viene chiesto ciò che Dio già vuole: il pane, il perdono, la protezione.
     Sembra una preghiera inutile. Chiede le cose che già ci sono. Chiede di esser in armonia con Dio. Non chiede a Dio di mettersi in armonia ( possibilmente onnipotente ) con i nostri desideri.

E' un chiedere senza comandare. Un chiedere allo stato puro. Un chiedere già efficace prima di essere espresso, perché "il Padre già sa ciò di cui avete bisogno". Perciò non si risolve in un comandare subdolo a Dio, ma in un fiducioso manifestare a Dio l'accoglienza del suo piano e la precarietà della nostra vita terrena.  

GCM 15.09.03