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Porta alla contemplazione

Se non si aggiunge il sentire al descrivere, non si può entrare nella contemplazione.
     Uno dei latrocini perpetrati dai cosiddetti maestri di spiritualità è quello di indicare la contemplazione come difficile o impossibile per il credente, e riservata solamente alle anime (anime! capite?) elette dei santi e dei mistici.
     Abbiamo avuto secoli di generazioni cristiane, convinte di non poter contemplare. Eppure i contadini gioivano nel veder spuntare il primo verde nei campi e l'ultimo raggio del sole al tramonto!

La contemplazione è di tutti, perché Dio si fa vedere, e noi, con la fede, contempliamo Dio.
     E' però opportuno che nella nostra vita noi si prepari gli spazi alla contemplazione.
     In realtà la contemplazione non è un'attività aggiunta alle "attività normali". Essa invece è un'attività normale, che l'educazione e la "civiltà positivistica" hanno soffocato e sterilizzato.
     I bambini nascono contemplanti. I loro occhi sono gravidi di meraviglia. La scuola permette ai bambini di immaginare, e poi obbliga gli adolescenti a razionalizzare, privando questi della beatitudine di quelli.

Se, quando ci fermiamo con noi stessi, non ci fermassimo a descriverci, ma procedessimo a sentirci, la contemplazione si spalancherebbe al nostro cuore.
     Una frase micidiale: "Io mi conosco, io sono...". E' descrizione di una "conoscenza" spesso influenzata dalla scienza, o dagli astrologi: "Io sono vergine o io sono ariete!". Ossia: io mi descrivo come ariete.
     Sentirci: ossia dolcemente adagiarci in noi stessi, senza pretendere di dar subito un nome e ciò che ci sembra di provare.
     Sentirci, più che descriverci, e la contemplazione, nostra e di Dio, è lì ad attenderci.   

GCM, 23.12.03