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Povertà e Regno

Gesù, nella sua bontà e nella sua divina lungimiranza, non si chiude in un presente ristretto, ma vede la fine dell’evolversi della realtà.

Parlando del proprio futuro prossimo ai suoi discepoli, elenca le sofferenze vicine che deve affrontare, e termina con quel “e poi risorgerà”. Guarda avanti non solo a corto raggio, ma a realtà completa.

Su questa dinamica sono intrecciate le beatitudini. Ricordo le beatitudini recensite nel Vangelo di Luca, perché ho l’impressione che si attaglino bene alla nostra mentalità.

Luca personalizza l’enunciato delle beatitudini. Esse non sono un sublime proclama (“Beati i poveri”), ma una consolante vicinanza (“Beati voi, poveri!”). Le due dichiarazioni non si contraddicono, eppure il modo di porgere di Luca avvince.

Perfino l’esito della beatitudine in Luca, è un esito immediato: “Perché vostro è il regno dei cieli”. Povertà e Regno dei cieli si abbracciano.

Le altre beatitudini sono lanciate verso il futuro (“sarete saziati”, “riderete”), ma la povertà è in qualche modo il lasciapassare immediato nel Regno dei cieli.

Quale povertà? Soltanto quella economica? Anche quella è una specie di povertà. Però la nostra condizione umana fa della nostra persona un vaso perforato, dove entra qualsiasi forma di povertà: sentimenti, cultura, insuccessi, incomprensioni, inimicizie, ecc., ecc.. Il vero povero si dà da fare per mettere qualcosa sotto i denti; e, se riconosciamo di esser poveri, è per noi il “chiedete e riceverete” e in esso il Regno dei cieli.

11.09.19