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L’approdo

26.02.12

“Fecisti nos ad te, Domine”: ci hai fatti per essere ordinati a te, Signore. E’ la notissima frase di S. Agostino. E continua: “inquietum est cor nostrum donec requiescat in te”: e il nostro cuore rimane inquieto fino a che non riposi in te.

La vita è dono. Un dono completo, perché non abbandonato alla terra o al tempo, ma destinato a elevarsi verso Dio, elevazione dinamica, quotidiana. La nostra completezza non consiste nella dimensione terrena, ma nell’obbedire alla naturale tendenza ed esigenza di Dio.

Siamo fatti per Dio, proprio perché siamo “sua fattura” (per dirla con Dante), e tendiamo a completarci in Dio.
Siamo uomini (e non bestie) proprio per la nostra ultima destinazione in Dio. Tanto più uomini, quanto più divini.

E si prospettano due esiti definitivi: Dio e l’anti-Dio; completarci in lui, o restare incompleti senza di lui.

Completi adesso attraverso la fede e la contemplazione. Incompleti adesso con l’ateismo e il fango della relatività o dello scetticismo.

Tra l’adesso e il dopo c’è continuità. La fede si completerà nella continuazione della visione di Dio e del suo abbraccio eterno. L’uomo fatto per Dio, troverà lo sfogo della vita terrena nella partecipazione festosa e amorosa della vita di Dio, approdo “naturale” della vita umana.

L’ateismo, che rende la vita terrena triste, incompleta, insoddisfatta, continuerà dopo la morte. L’ateo che, contro se stesso, si oppone a Dio, non potrà mai approdare a Dio. Fatto per essere completato in Dio, resterà sempre senza Dio.

Perciò l’aspirazione profonda del suo essere non sarà mai appagata (ma Dio resta misericordioso!) e quindi egli resterà in un tormento indicibile.

GCM 02.10.11