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La gioia del pentimento

Pentirci è un dono di Dio, per farci contenti. Le scuse, per cancellare la responsabilità prodotta dai nostri errori o dai nostri peccati, non producono serenità. Il rinnegare le nostra colpe, perfino quando attribuiamo ad altri la causa di esse, è un inganno che ci rende scontenti, perché offusca le nostre menti, già limitate per natura.

Il pentirci è bello.

Esso alimenta il nostro conoscere, attraverso il riconoscere i nostri limiti e le nostre colpe.

Esso solleva il nostro cuore, perché lo purifica, nell’espurgare il male che, con il peccato, lo pervade.

Però il solo pentirci, il riconoscere il male commesso o che ancora stiamo commettendo, non ci solleva completamente.

Pentirci davanti a Dio, con il nostro Padre, ci trascina nell’ambiente trinitario, dove viviamo con Gesù, fatto peccato per noi allo scopo di salvarci dal peccato.

Già il confidare qualche nostro errore a un nostro amico, fa scemare il peso dell’errore stesso. E l’amico è in grado solitamente di ascoltarci, ma non di assolvere la pesantezza misteriosa del nostro errare.

Il confidare (dico “confidare”, non “confessare”, perché si confessa solo la grandezza di Dio) a nostro Padre la pena causata dal nostro peccare ed errare, ci libera e ci innalza, perché soltanto lo Spirito del Padre è in grado di “sollevare” il peccato.

Il Padre, che sa veramente che cosa è l’amore, ci fa festa, ci fa indossare l’abito migliore, ci inanella la vita, ci accoglie nel banchetto, che è anticipo della festa eterna, alla quale siamo destinati, nonostante il nostro peccare.

Con il Padre è festa. Sono ben tristi coloro che non sanno aprirsi né con il Padre, né con gli amici, né con se stessi.           

GCM 17.02.10