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Fragili ambasciatori

Nel racconto biblico leggiamo che l’asino di Balaam parlò con il profeta e per il profeta. Non era notevole ciò che esso era, ma ciò che esso diceva.

Si sa che ambasciatore non porta pena, come non porta lode. E’ un intermediario, sia che vesta vestaglie o che indossi stracci. Egli è responsabile soltanto di riferire ciò che ha udito e che è obbligato a riferire. La sua autorità non nasce dai suoi vestiti, ma dall’essere incaricato.

Questo si addice anche agli evangelizzatori, ai preti, a qualsiasi annunciatore. E spesso l’essere fedeli all’incarico, non si combina con il comportamento dell’ambasciatore.

Paolo scrive: “Siamo ambasciatori di Dio, a portare la pace di Dio”.

Il prete è un ambasciatore, e come tale deve esser considerato, se annuncia ciò che è destinato ad annunciare. E’ opportuno, che viva ciò che annuncia, ma non è indispensabile. Gesù diceva cose analoghe verso gli scribi e i farisei, seduti sulla cattedra di Mosè: “Fate ciò che dicono, non fate ciò che fanno”.

Oggi si impalca uno scandalo dopo l’altro contro i preti, per svignarsela dall’osservare ciò che dicono.

Se un  prete fa parte di una combriccola di venti delinquenti, i giornali benevolmente notano: “C’era anche un prete”. Mai una volta che scrivano “C’era perfino un salumaio, o un idraulico”. Anche perché del salumaio o dell’idraulico possono aver sempre bisogno. Mentre del prete possono sempre fare a meno.

Paolo dice di essere uno strumento fragile, perché l’unica forza viene da Dio. La fragilità di un Leopardi non svalorizza la sua lirica... ma la fragilità del prete, quella sì. Perché?

GCM 15.04.10  - pubbl 30.06.10