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Sibariti

Quando frequentavo le scuole medie, mi fece impressione il racconto, fantasioso, della fine di Sìbari.
     Sibari era città ricca, lussuosa e lussuriosa. In essa attività commerciali e culturali intense si affiancavano a divertimenti sfrenati, forse per una ovvia compensazione. Città ricca, faceva invidia alla contigua Crotone. L'una era il simbolo del benessere sfrenato, l'altra della vita stentata. Sibari era intrisa di mollezza, Crotone vantava austerità e forza (vai a vedere se poi era proprio così).

L'ostilità tra le due città era continua e s'accese maggiormente con lo scoppio di una guerra. Crotone vinse la battaglia, i crotonesi entrarono a Sibari, mentre i sibariti stavano divertendosi nel teatro all'aperto; annientarono città e cittadini, rubando tutto il rubabile.

Nella mia fantasia e nella memoria per lungo tempo (ancor oggi?) rimase quest'immagine: nel culmine del divertimento e del piacere, i sibariti trovarono la morte. Come le mantidi religiose maschi.

L'immagine di Sibari mi zampilla davanti agli occhi, quando odo dire di un popolo povero che si scaglia contro un popolo ricco. Quando vedo l'Occidente stracolmo di ogni bene, e il sud del mondo in angustie di fame.
     Noi occidentali forse siamo i sibariti di oggi: di giorno alcune ore in ufficio o in fabbrica, il resto del tempo, notte compresa, in divertimenti. Attorno a noi, nel mondo, si muore di fame.

Poi ecco le avvisaglie da parte dei crotonesi. L'undici Settembre. L'emigrazione clandestina e selvaggia. Le guerre dei poveri.
     E noi, Sibariti, continuiamo a godere ed ad aumentare i capitali.

La storia ci insegna (ma poi è davvero capace di insegnare?) che tutti i grandi imperi sono caduti, e per franamento interno e per pressioni esterne.
     Non basta un forte esercito per arrestare la storia. C'è bisogno di una forte coscienza per leggere e accompagnare la storia.

GCM, 25.04.02