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Solitudine

Io soffro perché sono sola e attendo di essere accolta. Mi sento come una neonata, che sta attendendo. Mi sento sola. Eppure nella vita ho lavorato, mi sono laureata, ho una professione che seguo con dedizione. Però quando accadono certi episodi, che mi rifanno constatare di essere trascurata dai miei cari, sembra che tutto crolli attorno a me e che io mi restringa a essere una neonata, che attende.

R. U.

La persona che si esprime così, sente di avere dentro di sé, due vite parallele: la bambina che, disarmata, attende; e l'adulta che ha camminato nella vita.

Per fortuna, si è accorta di questa "doppia vita". E, di conseguenza, si accorge che le due persone, che vivono dentro di lei, ancora non si sono incontrate. La adulta non ha dato la mano alla bambina, per aiutarla a non precipitare in uno scoraggiamento deleterio.

R. U. è riuscita a decifrare la qualità della propria solitudine. Non si sente sola, perché nessuno le è vicino. Vanta molte conoscenze e molte amicizie. La sua solitudine è dentro di lei. È sola dentro di sé, dove lei sola può "farsi compagnia". Infatti dentro di noi soltanto due persone possono farci compagnia, perché tutte e due abitano in noi: noi e Dio, io e la Trinità.

Il freddo interiore, che conduce al dolore senza nome, alla tristezza e alla depressione, può essere superato soltanto dall'amore. Non amore di altri per noi, ma amore nostro per noi, e amore del Dio, nostro intimo(vedi le parole di S. Agostino), per noi, quando ci attrae a sé.

Spesso l'amore nostro per noi stessi nasce da una stima. Trovare la valenza positiva in ciò che siamo, e anche in ciò che compiamo. L'amore si dona a chi stimiamo. Non per una carica egoistica, ma per la realizzazione della parità tra amante e amato.

Anche Dio, Trinità, è amore infinito tra persone che si vivono infinitamente pari. E quando Dio ama la creatura, segnata da limiti, appesantita da bruttere interiori e da peccati, non ama il peccato, ma la persona, che è dotata di gloria e di potenzialità. Dio ama l'uomo povero, non per la sua povertà, ma per la potenzialità di ricchezza, che egli racchiude, ricchezza donata da Dio alla sua creatura.

Dunque amare se stessi, per uscire dal freddo della solitudine. Amarsi, perché ci si stima.

Stima, non esaltazione. Stima, come l'estimo: constatazione del corredo, di cui si è dotati.

Autostima, non pretesa di accettarsi, soltanto se raggiungiamo l'alto grado dei nostri desideri illusori. Troppo spesso si confonde l'autostima con l'autoincensazione, l'autoesaltazione. La stima corretta conduce alla accettazione e alla pace. L'esaltazione provoca l'ansia di pretendere di essere più di ciò che siamo, e conduce alla scontentezza e alla fredda solitudine.

Se l'adulto che è in R. U. stimasse di più l'adulto e il bambino interiori, questa stima pacata e corretta, l'aiuterebbe a trovare il mezzo per far incontrare il bambino con l'adulto, e a farsi "compagnia".

Quando poi R. U. si accorgerebbe della stima e dell'amore che verso di lei, ha quel Dio che abita dentro di lei, stima amore e pace inonderebbero il suo cuore, e la caverebbero fuori dal freddo della solitudine.

GCM (Febbraio 2006)