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Il sapore della preghiera  5

Quando medito sul sapore della preghiera, mi viene da ricordare Giuseppe Ungaretti, mentre declamava la poesia di Omero. Avevo come la percezione che Ungaretti masticasse ogni vocabolo, per spremerne il sapore.

Non tutti sono Ungaretti. Ma quando odo, durante la Messa, bambini, cui è affidato di “leggere” qualche testo, che incespicano nelle parole e che non capiscono il senso di quanto stanno leggendo, allora mi viene di invocare Ungaretti, affinché dal cielo intervenga.

Sì: masticare le parole del pregare, per estrarne il sugo, confortante e ridente. Magari poche parole, ma ben vissute e ben sentite.

Talvolta, pregando, accade di provare stanchezza. Qualcuno affronta la situazione accelerando la “recita” per uscire dalla situazione incresciosa. Qualche altro invece, accettando la propria debolezza, sospende la preghiera, si rinfresca cuore e mente, e poi riprende la preghiera anche in altri tempi.

Quel “precetto” di pregare sempre, senza stancarci mai, non si riferisce alle preghiere, ma alla stessa essenza della vita. È la vita del credente, che, tutta, è un’offerta gradita a Dio, come la stessa vita di Gesù.

Così nessun momento della nostra vita si sottrae al pregare, se noi non lo decidiamo volutamente.

Con l’animo fresco si assapora il pregare, perfino “al modo di Ungaretti”. Lui sapeva pregare, è sufficiente che rileggiamo la poesia sul Tevere.

02.05.19