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Il sapore della preghiera  1

Noi, nati in una famiglia di cristiani, fin da piccoli abbiamo appreso alcune formule di preghiera: il Padre Nostro, l’Ave Maria, il Gloria al Padre, e, nei casi più ampi, il Credo e l’Atto di dolore.

Poi, nella vita - anche durante i seminari e dopo – abbiamo continuato a “recitare le preghiere”. E, non raramente, ci siamo fermati al recitare le preghiere, perfino senza pregare. Chi non ricorda la preghiera recitata in famiglia, come è descritta da Olmi nell’”Albero degli zoccoli”?

Purtroppo non ci hanno insegnato a sfruttare tutta la ricchezza consistente nel passaggio dal “recitare le preghiere” al pregare. Dalla formula alla parola al “sapore insito nella parola”.

Le parole che più facilmente ricordiamo sono quelle apprese in un contesto affettivo. È difficile, per esempio, che un bambino dimentichi la parola “caramella”, perché essa ricorda una percezione piacevole.

Orbene, ogni formula di preghiera, comporta una valenza positiva. A me piace dire che è fruttuoso, far sprizzare dalla parola di preghiera, il sapore contenuto in quella parola.

Eppure le nostre formule di preghiera, hanno un potente sapore esistenziale e di fede.

Un esempio principe, è proprio la preghiera che Gesù ha inserito nella nostra bocca (“dite così”) e nel nostro cuore. Quanto sapore divino e affettivo è dentro la parola “Padre”!

01.05.19