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Lo conosciamo bene, noi!


    La supponenza dei Nazaretani nei riguardi di Gesù, è uguale alla nostra, quando ci illudiamo di aver acquisito sufficienti informazioni sul conto di lui.

    Gesù, allora, si presentò ai suoi compaesani. Addirittura, trascurando di essere nato a Betlemme, chiama Nazareth la sua patria. Alla scuola del Battista, nella frequenza al tempio, e, soprattutto, nella profonda preghiera, Gesù aveva scoperto il vero volto di Dio (Padre!) e degli uomini (fratelli). Sul tema “Dio-Padre “ a dodici anni aveva cercato di far tacere Maria e Giuseppe.

    Or dunque, dopo un curriculum di scoperta della verità (in parte novità per la sua gente) sente l'urgenza di “insegnare”. Non come la “scuola” dei rabbini. O la scolastica medievale. Quella interprete della Legge, questa interprete dei dettati di Pietro Lombardo. Gesù sente la necessità di “insegnare” la sua novità, anche quando muove da un testo del profeta Isaia.

    Gesù, felice della propria scoperta illuminata da Dio, sente il bisogno di partecipare ai suoi compaesani ciò che egli aveva visto e vissuto riguardo al Padre. Tutti si accorgono del nuovo registro di verità. Ne sono meravigliati.
    Eppure credevano di saperne abbastanza di Gesù, proprio come noi infarinati da catechismo. E lo dichiarano: “Non è Gesù uno dei nostri: conosciamo i suoi parenti maschi e perfino le sue parenti femmine”. Chi pretende di essere?

    È la supponenza di tutti coloro che, davanti alla novità, si rifiutano di cambiare idea. Infatti il pentirsi e il convertirsi è prima di tutto cambiare idea: metanoia, in greco. Ossia aver la capacità di andare oltre (meta) le idee (nous, mente) già acquisite. Oggi noi su Gesù non abbiamo idee già chiare e acquisite, ma frammenti delle risposte trovate nei catechismi.

    05.07.15