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Abbandono da Dio?

    
    Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato? Appare evidente la tragica contraddizione: se sono abbandonato, ho perso il contatto con la persona che mi ha abbandonato, oppure sto in contatto con essa, perché lo prego.

    La frase, presa alla lettera, può essere attribuita soltanto a una persona fuori di testa. Ma è proprio così?

    Per Gesù la persona che lui invoca, è “onnipresente”. Quindi l’abbandono non è “oggettivo” (e Gesù lo sa), ma solo “soggettivo”, ossia subìto dalla percezione psichica. È l’invocazione di fede certa, in una situazione di abbandono percepito psichicamente.

    Però, per chi si fida di Gesù e si assimila a lui, la frase è di grande fede e amore, e indica quanto il cristiano deve compiere, quando si “sente” trascurato e abbandonato.

    Anche l’estrema condizione di dolore e di abbandono, può diventare preghiera. Il dolore di qualunque genere può e deve diventare preghiera. Anzi il dolore, l’abbandono, la difficoltà nell’inoltrarci dentro la vita sono specifiche occasioni di preghiera, stimoli per rivolgerci al Padre. Le sofferenze sono inizio di preghiera. Perfino la estrema sofferenza, quella di non sapere se Dio c’è, è, fondamentalmente, occasione e stimolo a pregare.

    Tu mi stai abbandonando, o addirittura tu mi hai abbandonato, eppure “so di poterti ancora parlare”. Mi fido della tua presenza, perché sono certo che tu sei presente, anche quando il mondo esterno (figli, amici, genitori…) e quello interno (oscurità, disperazione, buio) sembrano crollare dentro di me e attorno a me. Perciò posso ancora parlare con te, perché tu sei incapace di abbandonarmi.

    28.03.15