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Beato chi è nel pianto


  Sembra strano, ma anche il pianto, che pure è oggetto di beatitudine, non sempre è un pianto bene indirizzato.

  Gesù, avviato al supplizio, ode il piangere delle donne-prefiche con un lamento intonato per lui. Egli rifiuta quel pianto. “Non piangete su di me, ma su di voi e sui vostri figli!”: Gesù si incamminava verso la morte vera, e quel pianto tradizionale finto lo infastidiva.

  Nel Vangelo leggiamo di altre lacrime: per esempio, quelle della donna che accompagnava alla tomba l’unico figlio, o il pianto di Marta e Maria presso la tomba del fratello Lazzaro. A questi pianti Gesù si commuove, fino addirittura a piangere lui stesso. Come, però, sentiva che questi pianti sarebbero stati presto alleviati, così egli vedeva il termine, prima o poi, di ogni pianto umano.

  Dio talvolta esige il pianto: “Venite da me con pianti e lamenti”. Questo perché si deve sempre uscire da gioie fatue e devianti.

  Però, anche, non vuole che si pianga quando il motivo del pianto deve essere tolto. Il profeta Neemia, quando viene riscoperta la Bibbia, esorta a non piangere al cospetto del dono di Dio.

  Per Gesù, che conosce il cuore dell’uomo e il cuore di Dio, il futuro del pianto è la consolazione. Egli rinforza una convinzione, che già serpeggia nel suo ambiente.

  Però è utile ricordare che il Vangelo si esprime sul pianto autentico, non sul piagnisteo, alimentato volutamente, per attirare l’attenzione degli altri, oppure per attendere improbabili soluzioni di un lutto (che, grazie a Dio, ha un tempo limitato): quel pianto che non diventa beatitudine, perché non si affida a Dio.  

  GCM 08.11.14