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La barriera del conoscere

Il filosofo Ardigò, ex sacerdote cattolico, dopo i novant’anni, suicidò. Che cosa lo predisponeva al suicidio? La logica filosofica? La schizofrenia tra la logica e l’emotività?  L’insopportabilità della sua scelta di vita?

Un insegnante di teologia e di filosofia a sessant’anni, suicidò.  Che cosa lo portò a quell’atto? La sua cultura? La logica della sua teologia e della sua filosofia? La schizofrenia tra ciò che insegnava e ciò che sentiva? Esprimeva o camuffava i suoi sentimenti?

I nostri sentimenti di inquietudine esistenziale, possono essere camuffati (non si sa con quale grado di consapevolezza) proprio con l’aiutare gli altri, con l’acuto desiderio di essere aiutato nell’aiutare gli altri. E’ l’illusione di molti studenti di scienze psicologiche quella di superare i propri conflitti nel conoscerli e nell’applicare ad altri la soluzione degli stessi conflitti.

C’è grande disparità tra il conoscere la dottrina anche sublime delle difficoltà, e l’entrarci dentro per risolverle.

Quanti pazienti di psicoterapia e di psichiatria, non entrano nelle proprie difficoltà innalzando la barriera del “questo lo so!”.
Perché la statistica ci dice che tra i medici suicidi, la percentuale relativa più alta si annovera tra gli psichiatri?

Come si spiega il suicidio di preti e religiosi, maestri e direttori di spirito? Sono uomini, come tutti noi, con le tensioni psichiche che li affliggono. Però non riescono a entrare in queste tensioni, fermandosi sulla porta dei loro studi e della loro “onorabilità”.

Sono colpevoli? E chi può giudicare?

Però il loro preservarsi lontani da quegli aiuti che noi, poveri mortali, usiamo, come lo psicologo, l’umiliazione, la preghiera sofferta, l’adattarsi a scavare dentro di sé non solo con la mente ma con la ruvidezza della ricerca, li porta alla soluzione annientante del suicidio.

GCM 14.12.07