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Povertà felice

Gesù è povero con i poveri, per i poveri, nei poveri. La povertà di Gesù è la sua presenza nei poveri. Egli si fece povero, e dove vige la povertà, ivi agisce la presenza di Gesù.

La ricerca della nostra povertà, e della povertà del mondo, è ricerca di Gesù. Il nostro stesso esame di coscienza alla ricerca delle nostre deficienze, se da una parte è in vista del pentimento, dall’altra è ricerca del luogo, occupato da Gesù. Il pentirci non è solo in vista della nostra “purificazione” (sacramentale o altro), ma è spinta verso la chénosi di Gesù, in noi, per partecipare della sua chènosi.

Evidentemente la nostra povertà non si trova evidenziata solo nel peccato, che è l’apice della povertà umana, ma nelle mille fibre del nostro esistere: povertà di virtù, di pazienza, di intelligenza, limite delle nostre capacità, intolleranza di noi e degli altri, malattia, povertà di giudizio equo su di noi e sugli altri...

Siamo tuffati in un mondo di povertà, perché la nostra stessa esistenza è povera, limitata, mortale. Eppure non siamo poveri per la povertà, ma per l’utilizzo della povertà mediante il ricorso a Dio.

Così la povertà diventa aspirazione, desiderio e amore. Amare Dio, che ci ha donato una povertà dinamica, che ci fa gridare a lui: “Salvaci!”. E nella salvezza scopriamo l’amore. In questo amore versiamo la nostra povertà, che, restando povera, si riempie di luce e di gioia.

La nostra povertà rende più stagliato e nitido quel nostro “fecisti ad te, Domine”: ci hai fatti per te. Allora si può diventare felici non solo nella nostra povertà, ma soprattutto della nostra povertà.

Ed ecco il Magnificat: “Guardò l’umiltà della sua schiava!”.

GCM 14.08.12