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Cari difetti

Un certo perfezionismo, di sicura marca eppure non considerato attentamente, si nasconde nelle nostre reazioni quotidiane, soprattutto attive nei gruppi ristretti.

Se dico a una persona che cammina con le stampelle: “Tu cammini male”, quella persona di solito reagisce con un “purtroppo”.

Se invece a una persona che, anche in un ambiente di 30 per 80 metri, apre finestre e porte per “avere aria”, dico: “Tu sei un claustrofobo”, quella persona si adonta e reagisce. Questa ipotesi è confermata nei fatti.

Perché ciò accade? Perché durante l’educazione (e gli studi di psicologia) ha saputo che la claustrofobia è un difetto, e spesso i difetti fisici e psichici sono considerati onte morali, e l’onta morale si oppone alla perfezione personale; allora si respinge l’onta che svela l’imperfezione.

Difendere la propria perfezione, inesistente e fantasticata, non credo che sia un difetto inferiore a quello di essere claustrofobo.

Però la stessa persona, che a parole riconosce di non essere perfetta, è sempre ipercritica sui difetti e sulle debolezze degli altri. E noi sappiamo che la critica sul prossimo, è lanciata da chi ha una trave nel proprio occhio.

E siamo tutti, soprattutto se molto zelanti nel porre in luce i difetti degli altri, con gli occhi cisposi, per la trave che grava sul nostro occhio. Sarebbe così semplice e così bello se i difetti, di cui tutti siamo ben forniti, suscitassero in noi un sorriso manzoniano, e ci aiutassero a vedere con serenità i nostri e gli altrui difetti, senza adombrarci contro di noi, rodendoci la vita, né contro gli altri, rodendo la loro carne col sarcasmo.

GCM 22.09.11, pubblicato 12.02.12