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Obbedienza

28.04.12

Gesù, facendosi uomo imparò l’obbedienza.  Uomo e obbedienza sono due corrispettivi, si richiamano.

Gesù fece sempre l’obbedienza al Padre, perché fu “sempre uomo”. Quando, dopo il battesimo amministrato da Giovanni, Gesù esce dall’acqua, il Padre esprime la sua approvazione. Il battesimo, in vista della remissione dei peccati, è la confessione patente del riconoscere di essere uomini. E’ l’antitesi alla disobbedienza di Eva e di Adamo, che, drogati dalla dolcezza del frutto, pretendevano di essere “come Dio”.

La base della nostra obbedienza è la nostra umanità, semplicemente accettata. Accettata: non nascosta, orpellata, scusata con arzigogoli mentali, rifiutata quasi non fosse nostra.

Per Gesù, l’essere uomo, o figlio dell’uomo, fu la grande obbedienza al Padre, che lo voleva incarnato.  E il ritornare alla propria umanità, per lui era il rinfrescarsi alle radici del suo esistere, del suo essere uomo.

Evidentemente questo è uno smacco per i grandi della terra, o per il superuomo di Nietzche, o dei suoi epigoni passati: Avola, Mussolini, Hitler; e presenti.

Per noi è consolazione. Il mio pensare, il mio dormire, il mio mangiare, prima di tutto è obbedienza, accettazione della mia concretezza povera e debole. Forse per ciò Paolo afferma che quando si sente debole, allora è forte.

I grandi della terra non potranno mai capire Gesù. Sono rinchiusi nell’area della “maledizione”, fino a che non vengono riscattati dall’accettazione della loro finitudine.

Compiere la volontà di Dio non è abbracciare eroismi: non ha senso un “cercasi volontà di Dio”. La volontà di Dio siamo noi. Noi, in armonia perciò con il Creatore.  

GCM 2012