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La gloria ci invade  

Noi, cristiani, viviamo guardando avanti. La storia, anche quella dei Papi (vedi Pastor), ci stimola a guardarci indietro.
Le due visuali vanno unite, perché una illumina l’altra. Però nel cristiano predomina lo sguardo in avanti. Questa è la funzione della speranza.

Spesso ci troviamo in difficoltà nel nostro camminare, perché ci si sofferma sui nostri dubbi e le nostre incertezze, anziché vedere le braccia di Dio, che ci sorreggono e ci accolgono. Dio è il nostro futuro, le nostre debolezze sono il nostro passato. Sulla forza vitale che il Padre ci presta, è necessario e bello procedere nella speranza.

La speranza, indotta in noi da quello Spirito che Gesù aveva promesso e attuato, ci mette in condizione di procedere serenamente. Dio ci vuole per completare la sua opera; perciò ci presta la sua forza vitale. Il compito di “operare nell’Eden” è sempre realizzabile proprio perché il Padre ci fornisce di ogni strumento per cooperare con lui, a iniziare dallo strumento della vita, a noi comunicata proprio perché agissimo e ci percepissimo gloria di Dio.

Ignazio di Loyola aveva come slogan “Ad maiorem Dei gloriam”: per la maggior gloria di Dio. Questo può essere un nobile incentivo per agire non chiusi nel nostro egoismo, ma aperti nel glorificare Dio. Eppure la gloria di Dio si estende al suo massimo sviluppo dentro di noi, quando ci accorgiamo di essere gloria di Dio, e che vivendo e agendo “completiamo” la gloria di Dio in noi, o, meglio, la sua gloria si completa in noi, gloria già coesistente con il nostro esistere.
Gesù chiedeva al Padre la compl

tezza, quando con la morte avrebbe raggiunto la gloria, che lui aveva fin dall’inizio. È un tuffo di gloria: quella prima di essere nel mondo, quella durante la vita (la volontà del Padre), quella ultima al compimento dell’incarico.

28.12.15