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Giorni di meno

Nei film, nelle vignette, nei fumetti, spesso sono riprodotte le pareti delle celle di prigioni. Sui muri sono tracciati i giorni già passati in carcere, e i giorni che mancano alla liberazione, alla libertà.

Nel salmo, recitato anche da Francesco (quello già santo, non quello ancor papa), si dice di far uscire dal carcere la vita. Ebbene, per ognuno di noi, ogni giorno è un giorno di meno di attesa.

Per alcune persone, questa diminuzione di tempo, si presenta oscura e paurosa: la prospettiva è la morte, il nulla. La impossibilità di godere, di vedere il sole, di entrare nel buio. L’attesa, che si restringe, e l’essere risospinti verso il nulla, o almeno verso un pauroso incognito.

Per altre persone è l’uscita dal carcere delle sofferenze, predisposte dalla vita. È un’attesa di uno sgravamento finale.

Per altri, che vedono la morte sorella, come la vedeva S. Francesco, è un godere di una prospettiva amichevole: morte sorella. Ma si può anche nutrire la prospettiva cristiana, ossia di Cristo, che, davanti alla morte, vedeva un felice ritorno presso il Padre. E la prospettiva di Gesù e di tutti coloro, che, come dice S. Paolo, sono del Cristo (oi tou theou). E il pieno immergerci nell’abbraccio definitivo, dolcissimo, del Padre.

È dunque un affare di giorni in meno nell’attesa di godere Dio. Non è attesa impaziente, perché le scadenze sono in mano di Dio (il suicida, o l’eutanasista è un ladro di quanto sta nelle mani di Dio).

È un’attesa, sempre più breve, di una festa, è un’attesa rallegrata dalla preghiera e dal gusto della carità, dalla novità della tecnica e dalle meraviglie della cultura che si allarga; non è sala di attesa con un giornale da sfogliare, ma un anticipo della luce avvenire.

21.02.16