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Egli, desiderando illuminare il Concilio con una luce “pastorale”, preferì la luce della dottrina, riesposta in termini “aggiornati”, piuttosto che la minaccia di una esclusione dalla comunità, creando reietti e scarti dalla fede.

Il Concilio Vaticano II, indetto da Papa Giovanni, affrontò le nuove situazioni, battezzate come “segni del tempo”, rileggendo con mentalità e con terminologia moderni, l’eterna verità, della quale Gesù affidò la custodia alla “sua” Chiesa. Non leggi, ma indicazioni di vita per la guida e per il bene di ogni credente e di ogni uomo.

La Chiesa dei secoli fu vista, considerata e amata come la Chiesa di oggi, l’accompagnatrice degli uomini nel corridoio illuminato. Accompagnare, non giudicare, pastorale, non tribunale. Dalla ricchezza, spesso ignorata, del Vaticano II, papa Francesco continua a estrarre e a vivere i tesori, che costruiscono e che salvano ogni uomo e ogni donna.

Trascurato ogni “anatema sit”, la Chiesa sente il bisogno non di seguire leggi, dottrinali o comportamentali, corredate dalla minaccia della scomunica, ma di far aggallare tutto l’amore di Dio, affidato a noi uomini e donne della “sua” Chiesa.

Noi, custodi di un amore che si espande per “attraimento”, come disse papa Ratzinger, non con l’oscura minaccia di un inferno eterno. Proprio per sfuggire a questo non conduce la paura, ma l’amore. La Chiesa è la professionista dell’Amore. Altrimenti non avrebbe senso l’Eucarestia, che la Chiesa custodisce per trattenere in sé e nel mondo, come pegno d’amore di Dio.

19.01.16