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Parola ed entusiasmo

Gesù, quando parlava, era convinto di ciò che esprimeva. Gesù era un tipo vitale, appassionato. Attirava la gente. Perciò quando si esprimeva non usava un tono melenso, piatto, monocorde. Insomma, era un Gesù vivo, tenero con la gente semplice, tagliente verso gli scribi e i farisei, rimproverante a Simone il lebbroso, pacato ragionatore con Nicodemo.

Le parole, che i Vangeli riferiscono a Gesù, certamente non furono pronunciate con voce incolore.

Le sue parole vengono poste nella bocca del diacono o del sacerdote, durante la lettura (lettura solo, o proclamazione, a volte addirittura cantata!) del Vangelo, nel raduno della Messa.

Alle parole, sempre care e bellissime, di Gesù è invitato a dar eco il sacerdote. Troppo spesso, anche da chi pretende di essere un musicista, è rimproverato il prete che legge con senso (quindi con vivacità) le parole di Gesù. Anzi le declama, come fossero pronunciate proprio ora. Addirittura si critica come “birignào”, se il prete ci mette sentimento nel ripeterle.

Il prete fa passare attraverso la propria sensibilità le parole di Gesù. Egli presta e affida a Gesù la propria convinzione e il proprio stile. Egli prova dentro di sé la verità delle parole di Gesù, e le esprime con il calore della verità, dell’autenticità.

Non è lui che parla, ma Gesù in lui e per suo tramite. In quella situazione il prete sperimenta le parole di Paolo: ”Vivo io, ma non io, vive in  me  Cristo”.

Se le parole di Gesù, amate studiate e contemplate, hanno fatto vibrare il cuore e la coscienza del prete, egli le comunica non come un disco che ripete, ma come una persona che vive la parola di Gesù.

GCM 13.02.11, pubblicato 31.07.11