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Parabole

Più leggo le parabole e più ne ammetto l’oscurità. Le parabole di Gesù non fanno parte del suo linguaggio “mite e piano”. Non sta nelle parabole la “semplicità” e l’”immediatezza del suo parlare.

A noi sembra che le parabole siano quasi poste come insegnamento esplicito, anche perché abbiamo alle spalle due millenni di “commenti” della parabole stesse.

In realtà chi le udiva restava all’oscuro, o - è il caso degli scolari di Gesù - chiedeva spiegazioni. Gesù stesso offriva la “traduzione” in annuncio di salvezza delle parabole stesse.

Le parabole non sono di comprensione immediata, ma di pungolo a riflettere e a ricercare. Non per nulla Gesù, dopo aver detto la parabola, provoca con il suo “Chi ha orecchi, ascolti”.

La provocazione di Gesù, nasce dalla coscienza di aver detto, con semplicità, cose complesse.

Spesso il parlare “semplice” di Gesù risulta enigmatico.

Lo conduce un intento pedagogico, e lo costringe una realtà contenutistica.

La pedagogia è l’invito a “darsi da fare”, a stillare le potenze intellettive, a ricavare da dentro di sé (e-ducere) ogni possibilità segreta e ancora “dormiente”. Gesù vuole che da tutti escano intelligenza e fede. Senza intelligenza manca la fede. Senza fede è inutile l’intelligenza.

Soprattutto il contenuto consiglia Gesù a parlare con parabole. Sappiamo che Dio non è definibile, perché Dio non è finito. Solo le realtà finite, o limitate, sono passibili di definizione, che rimarca la finitezza. Dio è senza limiti.

GCM 23.07.11, pubblicato 18.11.11