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Imparare Gesù

Fino a che non cominciamo ad insegnare Gesù, non lo impariamo. Restare discepoli di Gesù per tutta la vita, non equivale a frequentare l’asilo vita natural durante.

S. Paolo avvertiva i cristiani, che all’inizio avevano succhiato latte, e che era giunto il tempo di cibi solidi.

Gesù, per far evitare l’infantilismo ai suoi discepoli (discepoli, ossia alunni) li mandava a due a due a esercitarsi nel parlare di lui. Solo parlando di Gesù, lo si comprende. E parlando con lui, lo si capisce e lo si ama.

Questo criterio è ovvio nell’insegnamente delle materie scolastiche. Per raggiungere lo scopo di apprendere la materia, si assegnano gli “esercizi”. Il compito per casa, è come mandare i discepoli a tentare da soli (da soli, non con la mamma che fa i compiti per il bamboccio, per evitare  a lui e a se stessa, la brutta figura).

Perché il parlare di Gesù è scansato da una vasta parte dei cosiddetti fedeli?

Perché non se ne è convinti. Perché le nozioni su Gesù, quelle del catechismo, sono astratte. Perché c’è la paura di essere corretti, se si erra.

Quest’ultima paura è semplicemente l’Inquisizione o il Sant’Ufficio, riprodotto in sessantaquattresimo nelle parrocchie e  nelle famiglie.

Quante volte il bambino, mentre parla liberamente di Gesù, si sente ripetere: “Non si dice così!”. Perché il bambino non ripete i termini usati dalla dottrina cristiana, anche quando dice una sacrosanta verità cristiana.

Da grande rifiuterà di parlare di Gesù, per non sentirsi dire dal parroco o dal catechista: “Non si dice così!”.

Conseguenza: è meglio tacere, per non errare nel parlare di Gesù. E così non si imparerà mai Gesù.

GCM 01.02.11, pubblicato 23.04.11