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Ricco di povertà

"Beati i poveri" dice Gesù. La gran voglia di Gesù di andare incontro alla povera gente, gli faceva scoprire la bellezza anche tra le brutture, la beatitudine anche nella povertà. Questo di Gesù era un semplice fair-play più o meno politico per accattivare la gente, oppure le beatitudini sgorgavano da una sua convinzione, e la sua convinzione gli era suggerita da Dio?
     La propria esperienza faceva propendere Gesù a vedere beati i poveri. I ricchi di allora (solo di allora?) erano asserragliati nel ricchissimo tempio di Gerusalemme. Preti e scribi erano ricchi, chi di denaro, chi di scienza. Denaro e scienza erano teorizzati - evidentemente dai ricchi e dagli scienziati! - quali segni della benevolenza di Dio. "Sono ricco, conosco la legge, quindi sono gradito a Dio, che mi mostra la sua approvazione proprio tramite la ricchezza o la scienza". I "maledetti" necessariamente, come si legge nel Vangelo di Giovanni, erano i poveri e gli ignoranti. Per i signori che la pensavano così, risultava di secondaria importanza il fatto che la ricchezza fosse acquistata con il divorare il denaro delle vedove, o con il selezionare le persone cui veniva impartita la lezione sulla Legge di Mosè.

Gesù vede beati i poveri, i poveri autentici, non quei barboni che si gloriavano della propria povertà, come Diogene. Questi sono ricchi.
     Eppure Francesco scorgeva nella povertà una ricchezza. La povertà trasformava i suoi fratelli in ricchi nel regno dei cieli. Non è una ricchezza da vantare, nemmeno con la prosopopea degli stracci (i casual lo sanno bene), ma con il cuore capace di desiderare, grazie proprio alla libertà regalata dalla povertà. Il povero può e deve desiderare, perché non possiede. Il desiderio di Francesco si eleva alla vita eterna. La vita eterna, la vita divina, è la ricchezza della povertà. Infatti dei poveri, i beati, è il "Regno dei cieli", di loro è Dio.

GCM, 11.06.03