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Stima

Nella Regola di S. Benedetto è scritto: "Siano premurosi nello stimarsi gli uni gli altri". La sollecitudine alla stima reciproca.
Già anticamente, e anche oggi presente, Paolo: "Prevenitevi l'un l'altro nell'onorarvi" (Rm 12.10).
     La comunità priva di stima reciproca si declassa a convivenza, nella quale ciascuno si difende da tutti, e, siccome la migliore difesa è l'offesa, ciascuno azzanna l'altro, anche con i semplici artigli della critica demolitiva.
     Il coordinatore del gruppo è il primo che deve stimare tutti. Non può perciò avere "sudditi".   
     C'è da sorridere sulla frase che dicono alcuni coordinatori: "I miei frati". Questa frase per loro non si traduce in "I miei fratelli", bensì "I frati che io guido".

La stima reciproca pone tutti sullo stesso livello. La disistima mette tutti in guardia contro gli altri, quindi gli altri sono considerati come oggetti sottomessi da tenere a bada.
     La stima però non fiorisce dove manca l'amore. L'amore ci spinge a stimare l'oggetto del nostro amore. Anzi spesso lo si sovrastima. Ogni figlio per una madre, che sia madre, è dotato di qualità eccezionali.
     Perché, di solito, nelle comunità manca l'amore? Tutt'al più i componenti si trattano bene, ma non si vogliono bene.
     Perché l'unico distintivo cristiano ("vedranno come vi amate!") è assente? È una mancanza dei singoli o una situazione istituzionale?
     L'una e l'altra. I singoli sono stati inibiti d'amare prima in famiglia, e poi nelle fredde stanze delle istituzioni.

L'istituzione richiede amore e intanto impedisce di amare. Guarda con sospetto l'amicizia. Rompe la continuità affettiva con i frequenti trasferimenti. Spinge al sospetto contro il "diverso", intendendo per diverso una persona creativa e intuitiva.
     L'istituzione giudica, non ama; sospetta, non stima.

GCM, 11.05.03