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Io profeta

Molte riflessioni che mi comunica il mio amico Angelo e che lui vorrebbe siano pubblicate, credo opportuno non pubblicarle: sarebbero esplosive. Però l'ultima sua mi è parsa curiosa, un po' umoristica, e perciò la riporto qui, per i miei tre lettori.
     Mi disse:
     Sai che ho scoperto di essere un profeta? Quelli che mi abitano vicini mi ostacolano quando esprimo il mio pensiero. Vogliono che io dica le stesse sciocchezze che dicono loro. Si uniscono per accusarmi. Mi danno ascolto sì e no quando pronuncio i miei aforismi, ma si adontano quando cerco di confrontare la vita quotidiana con la verità. Mi sento tanto Giovanni Battista: castigato per le mie parole, eppure volentieri ascoltato, magari di soppiatto, da chi mi vorrebbe scomparso.

Sono profeta non solo quando annuncio Gesù e la sua verità, ma anche quando rifletto sulla giustizia e sul benessere delle persone. Come i profeti d'Israele, che avevano gli occhi rivolti a Dio e alle miserie dell'uomo.
     Mi combattono, anche radunandosi in sinedrio, dove l'unico Gesù è sopraffatto dalla moltitudine che grida: "È reo di morte!".
     So che mi combattono con l'invettiva, perché sono deboli nel pensiero. Sono così deboli, che s'illudono di rinforzarsi puntando e basandosi sul loro ruolo.
     Conosco un alto prelato, che una volta raggiunta la prelatura credeva di aver acquistato l'onniscienza. Però ogni volta che parlava in pubblico, ne usciva scornato.
     Conosco il mio piccolo prelato, che non possiede neppure la ortoepia italiana, e che oppone la sua rabbia di frustrato alle mie semplici parole.
     Una divisa, montura di militare o saio di eremita, non rende l'uomo intelligente, mentre lo può rendere presuntuoso. E sono i presuntuosi che uccidono o almeno zittiscono i profeti.
     Mi trattano tanto da profeta, che ormai mi sto convincendo di esserlo. 

GCM, 26.07.03