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Missione e scuola

Per caso, mi incontro con una parola che sapeva troppo di sacro, e che la laicità non poteva sopportare: missione. Tale parola rimaneva nel linguaggio bellico: missione di guerra, truppe in missione, etc.. E restava pure nel linguaggio diplomatico. Ma fu tolta dal luogo più proprio: la scuola.

Un certo linguaggio, aspramente “sindacalese”, aveva protestato, perché pretendeva che l’insegnamento scolastico non fosse una missione, ma un semplice lavoro retribuito.

Poi ecco, il ministro Profumo, “tecnico” del Governo Monti, si arrischia a definire l’insegnamento una missione.

Arretratezza o verità?

Verità, per tutti e di tutti gli insegnanti che si interessano davvero degli alunni. Talvolta essi sono perfino “mandati in missione” per affrontare classi di irrequieti, di svogliati, di ribelli.

La missione è sempre un’azione di salvezza di persone in difficoltà. La missione, perfino quella di guerra, è costituita in vista di risolvere un problema, una difficoltà, una lotta.

La scuola si accolla la finalità di aiutare gli alunni a orientarsi nella vita, tramite l’insegnamento e l’educazione morale e civica. Soprattutto religiosa. Perché gli alunni hanno bisogno di collocarsi correttamente in ogni dimensione della propria esistenza.

Orientasi, e non solo aver piccoli strumenti per destreggiarsi in singole situazioni, anche se frequenti. Non è un “cavarsela” soltanto, è indicare la giusta strada, che possa aiutare lungo tutta l’esistenza, compresa quella che continua dopo la morte.
Insomma, non l’umiliazione del mestierante, ma la nobiltà del missionario.

GCM 15.10.12