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Già e non ancora

È consolante costatare che dopo la Risurrezione e la Pentecoste noi siamo entrati nel tempo del “già e non ancora!”. Siamo già entrati alla “fine dei tempi”. Per una riflessione superficiale (e materiale) di concepire “la fine dei tempi”, noi ci siamo ripiegati a considerare la fine del tempo come la fine del mondo. Forse una lettura superficiale dell'Apocalisse ci ha condotto a questo modo di pensare.

Correttamente, secondo il Vangelo e secondo gli scritti biblici, l'ultimo tempo è l'era escatologica aperta da Gesù. Gesù è il “già”, perché è l'inizio di questa magnifica era; Gesù è anche il “non ancora”, perché concluderà questo “tempo” (“eone”, come nel linguaggio biblico) quando egli offrirà definitivamente al Padre, se stesso, i “suoi” e tutta la realtà creata.

Il “già” è già sicurezza di fede e di amore; il “non ancora” è solidità di speranza. Sono le due basi della nostra certezza cristiana. L'una non può essere efficace senza l'altra. Però sia il “già”, che il “non ancora” devono essere “cristiani”. Solo così la nostra esistenza riesce a procedere serena.

Non basta credere a “qualche cosa”, ma proprio a Gesù, nel quale è deposta la pienezza stessa di Dio. Non basta essere e professarsi più o meno ottimisti nel futuro (sebbene questo non guasti!), ma essere sicuri del “ritorno di Gesù nella gloria”. Perciò una “progressiva” e sempre più profonda conoscenza di Gesù, e una quotidiana accettazione del suo “destino”, sorreggono la nostra vita di credenti.

21.04.15