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L'unico io

Le allegorie, usate da Gesù, sono l'unico modo per “sospettare” chi è Dio e chi è lui stesso. Dobbiamo credere nel Padre e in Colui che il Padre “ha mandato”. Credere non è vedere oppure costatare con le nostre misure e con i nostri mezzi. Eppure la vera gioia ci coglie, non dalla scoperta materiale, ma dal sentirci sparati nell'Infinito dalla nostra stessa fede. Pur vedendo Gesù, la nostra gioia si sviluppa nel credere a lui e nel fidarsi totalmente della sua Parola.

Mi piace ricordare tre allegorie, tra le molte (basta ricordare la sequenza delle parabole): il Pastore autentico, Gesù pane di vita eterna, la vite e i tralci.
Le allegorie delle parabole si riferiscono al Regno di Dio. Le tre allegorie si riferiscono direttamente alla persona di Gesù, e per indotto al Regno di Dio.

Il buon Pastore, dove si vive un pathos infinito, indica una vicinanza tra Gesù e noi. È vicinanza: per quanto tra di loro in profonda armonia, resta un distacco tra il Pastore e le pecore.

Il pane di vita, è già un avvicinare Gesù e un gioioso permettere di entrare in noi come cibo.

La vite e i tralci, come significato superano le altre due allegorie. Non solo pastore, non solo cibo, ma comunanza vitale della stessa linfa. Senza questo suggere linfa da lui, la nostra vita si spegnerebbe... e il tralcio sarebbe preda del fuoco.

L'unione tra Gesù e noi, non è occasionale. È perpetuamente vitale. È dire all'unisono un “io”, che è l'”io” di tutti e due. Non vivo più io, ma vive Cristo in me: come si esprime S. Paolo.

Se l'io è unico, la preghiera è unica, l'affetto è unico, la presenza nel Padre è unica. Non posso più pregare da solo, mangiare da solo. Lui è tutto me; io sempre in lui!

03.05.15